sabato 25 settembre 2010

Make Up nei film Horror

Un punto fondamentale del genere horror è costituito dalla possibilità di ricreare visivamente elementi terrificanti, capaci di portare gli spettatori a rabbrividire o urlare di paura! Per soddisfare tali necessità entrano in campo i cosiddetti effetti speciali, o semplicemente effetti, nonchè il trucco e l’abbigliamento dei protagonisti. Vivacinema vi propone un approfondimento sulla storia e le varie soluzioni adottate nel campo degli effetti visivi e del make-up nel secolare genere cinematografico dell’horror. I primi esempi di cinema dell’orrore risalgono addirittura ai primi anni di vita del cinema, alla fine del 1800. Uno dei più creativi pionieri della settima arte, Georges Méliès, inserì infatti nelle sue pellicole i primi trucchi spettacolari costituiti da sparizioni di personaggi, sdoppiamenti e trucco deformante. In questa fase del cinema i trucchi erano rigorosamente artigianali, realizzati attraverso travestimenti, make-up pesante e soprattutto attraverso il montaggio. La sparizione di un personaggio avveniva, ad esempio, montando in rapida successione un’inquadratura del protagonista con un’inquadratura vuota, dando così l’impressione del dileguarsi improvviso della figura. Attraverso gli anni ‘10 e ‘20 del 1900, il genere horror diviene sempre più caratteristico, in particolare grazie ai registi tedeschi appartenenti alla corrente dell’Espressionismo. Questo movimento era, infatti, caratterizzato da ambientazioni cupe e lugubri, storie raccapriccianti e personaggi spesso appartenenti al mondo del sovrannaturale. Pietre miliari dell’intera storia del cinema sono, ad esempio, Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene e Nosferatu il Vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau. Quest’ultimo rappresenta la prima apparizione sul grande schermo del celeberrimo Dracula ed è ricco di innovazioni tecniche nel campo degli effetti. Oltre all’inquietante make-up del protagonista armato di affilati canini, sono da segnalare l’uso delle coloriture per rendere maggiormente le atmosfere nonostante il bianco e nero della pellicola. Bastava, ad esempio, un viraggio in blu o un negativo di una scena per collocarla temporalmente ed emotivamente nella sfera notturna e dell’ingnoto. Gli anni ‘30 e ‘40 segnano il boom del cinema horror anche negli Stati Uniti, che portarono ad un colossale successo figure mostruose rimaste immortali nell’immaginario collettivo quali Dracula, Frankenstein, La Mummia e L’uomo invisibile. Memori delle precedenti esperienze tedesche, i film horror hollywoodiani mantennero la linea dell’artigianalità degli effetti, puntando gran parte della loro efficacia sull’uso dei costumi, del trucco e delle scenografie. Non mancarono però le innovazione tecniche nel campo della spettacolarità. Nel primo King Kong del 1933, ad esempio, fu impiegato lo stop-motion, che permette di creare movimento attraverso la rapida successione di fotogrammi contenenti un oggetto inanimato in diverse pose consecutive. Acquistarono largo consenso anche le miniature, ovvero i modellini di grandi strutture ridotte in scala per facilitarne la ripresa. I grandi passi tecnologici dell’industria degli anni ‘50 e ‘60, tra i tanti anche l’introduzione dei film a colori, porta il baricentro del cinema horror verso nuove frontiere, tendenti alla fantascienza. Nascono in questi anni i personaggi extraterrestri ed alieni, le lotte tra umani e robot, nonchè nuovi effetti che da questo momento in poi possono veramente essere definiti speciali. L’innovativo uso del 3-D rivoluziona il modo di vedere i film, portando il pubblico verso terrori e paure sempre più realistiche e, quindi, vicine alla realtà di ognuno. Inoltrandosi negli anni ‘60 e ‘70 l’horror subisce alcune svolte stilistiche e tematiche rilevanti. Il periodo preso in questione va analizzato anche sotto un profilo politico-sociale, considerando le conseguenze della guerra del Vietnam e delle contestazioni giovanili. Questi segni di decadimento delle istituzioni e della società moderna si rifletterono enormemente nei film dell’epoca di qualsiasi tipo. Il prima piuttosto omogeneo genere horror tende ora a scindersi per lo più in due grandi gruppi. Da una parte prende piede l’horror psicologico, meno violento ma più cerebrale, e dall’altra permane il gusto del ribrezzo con l’inizio della serie dedicata agli zombie e ai serial killer. Parlando della prima categoria possiamo citare grandi opere del periodo come Psyco, infinito serbatoio di geniali trovate stilistiche di Alfred Hitchcock e trent’anni dopo il famoso Il silenzio degli innocenti. In questi come in altri esempi il trucco o gli effetti speciali sono in qualche modo secondari, lasciando spazio ad una più profonda introspezione interiore e psicologica. Restano fondamentali, invece, gli effetti ed il trucco nell’altro grande filone horror dell’epoca. Senza un competente ed artistico make-up cosa sarebbe stato degli zombie di Romero in La notte dei morti viventi? Senza gli effetti speciali di levitazione e il giro a 360 gradi della testa di Regan cosa sarebbe stato L’Esorcista? La fine degli anni ‘70 ed in particolare gli ‘80 sono costellati di grandi opere horror che in gran parte hanno dato vita a successive saghe e sequel nel corso dei decenni. Tra i più celebri segnaliamo Non aprite quella porta di Tobe Hooper, Zombie di Romero, Halloween di John Carpenter, Alien, Venerdì 13, Nightmare di Wes Craven e Hellraiser di Clive Barker. Un’ondata di sangue e violenza estrema invade il cinema, popolato da superuomini invincibili, creature aliene, assassini che si nascondono nei sogni e pazzi maniaci. Gli effetti usati in questi film non vanno certo per il sottile, non risparmiando, infatti, oceaniche quantità di sangue (il caro succo di pomodoro) e mutilazioni di ogni tipo. Permane comunque una certa tendenza artigianale in queste produzioni, che strizzano l’occhio ai vecchi metodi della classicità, fatta di manichini di gomma, plastica e stoffa, sangue finto e mostri posticci. Contemporaneamente alle produzioni hollywoodiane ormai vicine alle nuove tecniche della computer grafica, l’Europa alza il proprio vessillo orrorifico con grandi registi del settore, tra cui anche illustrissimi nomi italiani. Detentori della più altra tradizione dell’horror italiano sono Pupi Avati autore di La casa dalle finestre che ridono, il Maestro Mario Bava, con opere come La maschera del demonio, Gli orrori del castello di Norimberga e Shock, e il suo seguace Dario Argento, ancora oggi attivo e rinomato per film come Profondo Rosso, Suspiria e Inferno. La tradizione italiana rispetta fortemente il concetto classico di effetto, mantendo la materialità del make-up e dei trucchi, restituendo all’horror quella componente finzionale che secondo molti costituisce la vera anima del cinema. Mentre l’Italia e l’Europa in generale tenevano questa linea, Hollywood scopriva le potenzialità del computer e le sue infinite funzioni. I giganteschi dinosauri di Jurassic Park, ad esempio, sono figli del digitale, come le grandi folle di comparse e le scene violente sempre più realistiche e dettagliate. Si apre così l’era del digitale, tuttora senza confini, animando i mostri e gli assassini degli anni ‘90 fino ad oggi.

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