mercoledì 29 settembre 2010

Carlo Rambaldi, FX made in italy

Carlo Rambaldi (Vigarano Mainarda, 15 settembre 1925) è un artista italiano, noto a livello internazionale per le sue opere in campo cinematografico. Diplomato Geometra, laureatosi all'Accademia di Belle Arti di Bologna, inizia a frequentare gli ambienti cinematografici in Italia nel 1956 quando realizza il drago Fafner, lungo ben 16 metri, per il film Sigfrido diretto da Giacomo Gentilomo e continua lavorando per registi quali Mario Monicelli, Marco Ferreri, in La grande abbuffata, Pier Paolo Pasolini e Dario Argento, per il quale contribuì a realizzare gli effetti speciali di Profondo rosso nel 1975. L'incontro con la grande produzione cinematografica americana di Hollywood gli permetterà di affinare le sue abilità nella meccatronica (effetti speciali ottenuti con l'unione di meccanica ed elettronica). Rambaldi ha vinto l'Oscar per i migliori effetti speciali per ben tre volte: il primo arriva con il film King Kong di John Guillermin del 1976, per il quale crea un pupazzo di 12 metri, il cui volto era in grado di esprimere le più comuni emozioni; successivamente nel 1979 per Alien di Ridley Scott contribuisce, insieme a Hans Ruedi Giger, all'ideazione della creatura aliena divenuta poi celebre; nel 1982 crea il suo capolavoro, commuovendo il mondo intero con il protagonista di E.T. l'extra-terrestre di Steven Spielberg. Tra i numerosi altri film a cui ha collaborato vi sono anche Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) sempre di Spielberg, e Dune (1984), di David Lynch. È membro del Comitato d'Onore dell'Ischia Film Festival e dell'Accademia Act Multimedia di Cinecittà.

Le maggiori compagnie di SFX - Industrial Light & Magic

La Industrial Light & Magic è una delle più famose ed importanti aziende del campo degli effetti speciali digitali, oggi parte della più ampia LucasFilm. Quando George Lucas girò Guerre Stellari nel 1977 volle creare degli effetti speciali rivoluzionari che non si fossero mai visti prima. Parlò quindi con Douglas Trumbull, famoso per il suo lavoro in 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. Il tecnico rifiutò l'offerta del regista americano, ma gli segnalò la disponibilità del suo assistente John Dykstra, che mise su un piccolo team di studenti universitari, artisti, ingegneri ed informatici che divenne il reparto degli effetti speciali di Episodio IV - Una nuova speranza. Quando venne realizzato il film seguente Episodio V - L'Impero colpisce ancora, George Lucas trasformò buona parte del team nella Industrial Light & Magic, fondandone la sede nel nord della California. Da quel momento in poi, la compagnia si espanse sempre di più, affermandosi come una delle più innovative ed importanti nel campo degli effetti speciali, collaborando ad alcuni dei più importanti film dell'epoca. Tra gli incarichi di maggior rilievo, la Industrial Light & Magic produsse gli effetti speciali di tutti i successivi film della serie di Guerre Stellari, compresa la "nuova trilogia", dei film di Indiana Jones, i dinosauri di Jurassic Park, tutti per la regia di Steven Spielberg, quelli della saga di Harry Potter, il drago del film Dragonheart, Pirati dei Caraibi, Transformers e molti altri. Fino al 2003 la ILM ha vinto ben 14 premi Oscar per gli effetti speciali, ai quali vanno aggiunte altre 19 nominations. Oltre a questi, ha vinto altri 22 Oscar tecnici.

Le maggiori compagnie di SFX - Weta Workshop

La Weta Workshop è una compagnia di fornitura di materiale di scena e servizi cinematografici. Fa parte del gruppo Weta, specializzata nella realizzazione di scenografie e produzione di effetti speciali di tipo fisico, come miniature, modellini e diorama, per la televisione e per il cinema, con sede a Miramar, un quartiere di Wellington, Nuova Zelanda. Fondata nel 1987 da Richard Taylor e altri, ha prodotto modelli di creature e effetti di make-up per le famose serie televisive Hercules e Xena - Principessa guerriera, e per molti film, come Il Signore degli Anelli, Creature del cielo e Meet The Feebles. Una sua divisione, la Weta Digital, fu fondata nel 1993, con il contributo, tra gli altri, del regista Peter Jackson, per realizzare in proprio anche gli effetti speciali digitali. La Weta Workshop raggiunse l'apice della sua notorietà in tutto il mondo con la realizzazione degli effetti per la trilogia il Signore degli Anelli, diretta appunto da Peter Jackson, per la quale ha prodotto i set, i costumi, il trucco e le numerose protesi, le armature, le armi, le creature e le miniature, riconfermandosi, alla fine del 2009, con l'ultimo film di grande successo Avatar. Filmografia: Avatar (2009) ... Compagnia per gli effetti speciali (costumi, trucco, modelli, mezzi) District 9 (2009) ... Compagnia per gli effetti speciali The Waterhorse (2007) ... Compagnia per gli effetti speciali The Host (2006) ... Compagnia per gli effetti speciali (modelli dei mostri) Black Sheep - Pecore assassine (2007) ... Compagnia per gli effetti speciali Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l'armadio (2005) ... Compagnia per gli effetti speciali King Kong (2005) ... Compagnia per gli effetti speciali La leggenda di Zorro (2005) ... Compagnia per gli effetti speciali (miniatura del treno) Van Helsing (2004) ... Compagnia per gli effetti speciali (miniatura della nave) Peter Pan (2003) ... Compagnia per gli effetti speciali (realizzazione delle sirene) Il Signore degli Anelli: Il Ritorno del Re (2003) ... Compagnia per gli effetti speciali (trucco, creature, armature, armi e miniature) Master and Commander (2003) ... Compagnia per gli effetti speciali Il Signore degli Anelli:Le due Torri (2002) ... Compagnia per gli effetti speciali (trucco, creature, armature, armi e miniature) Il Signore degli Anelli: La Compagnia dell'Anello (2001) ... Compagnia per gli effetti speciali (trucco, creature, armature, armi e miniature) Creature del cielo (1994) ... Compagnia per gli effetti speciali

lunedì 27 settembre 2010

Body painting moderno

Nel body painting moderno i colori naturali sono affiancati da colori acrilici e sintetici fatti dalle più importanti case di cosmetici internazionali. Sono colori che non recano danni alla salute della pelle nè provocano allergie. La durata del disegno varia a seconda dei pigmenti utilizzati: Il lattice liquido composto da lattice naturale, ammoniaca, acqua e ossido di zinco è applicato sul corpo umano come seconda pelle. È consigliato applicarlo su pelli perfettamente rasate, in modo tale da staccarlo più facilmente a opera conclusa. Più strati vengono fatti più è facile toglierlo dalla pelle; per questo chi lo utilizza preferisce applicare più strati sopra al corpo. In alcuni casi viene utilizzato come base per applicare colori nocivi che non potrebbero essere applicati direttamente. L' utilizzo del colore Blacklight Ink e delle lampade di wood (più comunemente conosciute come lampade UV) dà al body painting un effetto di fluorescenza spettacolare. I pigmenti di questo particolare colore reagiscono ai raggi UV creando un effetto luminoso. L' opera è visibile solo al buio e sotto l' esposizione a queste lampade che provocano la reazione dei pigmenti colorati. Il Blacklight Ink non è pericoloso nè nocivo per la pelle. Questa tecnica è applicata su qualsiasi parte del corpo, dal viso alle mani, dal torso alle gambe. Un esempio di questa tecnica è possibile vederla nel video "I gotta feeling" dei Black Eyed Peas, nel quale cantando e ballando sotto lampade UV i membri del gruppo hanno il viso segnato da questi particolari effetti di fluorescenza. Il body painting airbrush è una particolare tecnica che arricchisce il body painting dell' aerografo utilizzato per spruzzare vernici di vario genere nebulizzandole con l' aria compressa. L' effetto è più realistico di quelli permessi dal pennello e dalla spugna. L' utilizzo dell' aerografo comporta una minore artisticità dell' opera: svaniscono i tratti che solo il pennello con le sue linee, riesce a dare all' opera. Come nel pieno stile dell' aerografia, i contorni dei dipinti appaiono meno delineati e più sfocati: gli artisti che utilizzano l' aerografo sono specializzati in più campi della pittura, come la verniciatura delle auto, dipinti su carta, disegni sui caschi di piloti ecc. Dove non arriva l' aerografo ed i colori per raggiungere l' effetto desiderato si ricorre spesso all' utilizzo delle protesi. La pittura si unisce a queste per rendere gli effetti ancora più realistici. Le protesi possono essere sostanzialmente di due tipi: di piccole dimensioni oppure medio-grandi. Le prime vengono utilizzate per le parti più piccole del corpo: Lenti a contatto (colorate, occhi da zombie, occhi da serpente, da felino etc.). Ciglia finte (lunghe, colorate, glitterate, con cristalli, con piume, etc.). Unghia finte (colorate, lunghe, artigli, etc.). Denti finti (dracula, serpente, draghi, felini etc.). Orecchie allungate (elfo, avatar, nano etc.). Piccole ferite o ustioni. Quelle di medie e grandi dimensioni sono: calotte per la testa, finti arti mozzati, protesi da applicare, parti di volto o interi volti realizzati con calchi personalizzati.

Storia del body painting

colori utilizzati utilizzati erano tutti di origine naturale (argilla, cenere e sostanze vegetali) provenienti dalla flora del luogo dove gli abitanti erano insediati. Venivano applicati poi sulle parti del corpo desiderate, usando le dita o pennelli. Quest' arte affonda le sue radici nelle usanze di popoli tribali Africani, Indiani e centro Americani: la mancanza di fonti scritte rende impossibile sapere con certezza da quanto tempo questi popoli utilizzano il body painting. Una tra le più antiche popolazioni che fa uso del body painting sono gli aborigeni Australiani: dal 60000 a.C queste tribù dipingono il loro corpo e si fanno cicatrici. L' uomo primitivo, nel 30000 a.C, dipingeva allo stesso modo sia lui che le caverne, prima di rituali religiosi o propiziatori (per la caccia). Pitture rupestri trovate nell' altopiano Tassili risalenti all' 8000 a.C mostrano come gli uomini erano segnati sul corpo da pitture e cicatrici. Gli Egizi ricorrevano alla pittura corporea sia per i defunti sia per i vivi. Nel 4000 a.C le mummie di due donne erano segnate sull' addome da linee pitturate a mano. Le donne nella vita quotidiana, dipingevano la linea inferiore dell' occhio di verde, colore a base di malachite (composto dal carbonato di rame), mentre palpebre, ciglia e sopracciglia, erano marcati col carbone. Entrambi i colori erano inizialmente in polvere poi allungati con l' acqua e applicati sul corpo con le dita. Stesse tecniche venivano utilizzate dai Sumeri nel 500 a.C che dipingevano il volto con piombo bianco e rosso vermiglio. Nel 300 d.C i Picti dipingevano il loro corpo durante le battaglie con pitture intimidatorie. In Giappone il body painting a partire dal 550 d.C, a seconda della zona del corpo interessata, distingueva classi sociali diverse. Abolito nel 1847 d.C dall' imperatore Meiji, tornò ad essere legale nel 1945 d.C.

sabato 25 settembre 2010

Accorgimenti per il trucco teatrale

Quando si parla di trucco teatrale, bisogna sì prendere come "base" il trucco classico, ma con degli accorgimenti particolari: luce e distanza ballerino-spettatore. La Luce Bisogna tenere in considerazione che il volto della persona da truccare non sarà sotto una luce naturale, ma bensì sotto riflettori, luci molto forti che rendono più visibile qualsiasi particolare e allo stesso tempo sbiadiscono i colori naturali del volto. La Distanza Mentre quanto riguarda la distanza, il trucco teatrale deve risaltare i lineamenti del viso, e allo stesso tempo introdurre in modo quasi reale il personaggio nell'ambientazione. Anche lo spettatore più lontano deve poter vedere bene le caratteristiche del viso del singolo ballerino. E' proprio per questi due fattori che il trucco teatrale deve essere più acceso e preciso, rispetto un trucco di bellezza. Ciò non significa che bisogna creare un trucco eccessivamente colorato ed eccentrico per farlo vedere bene, basta giocare sui toni dei colori e sulle ombreggiature, accentuare i tratti del viso, la linea degli occhi e gli zigomi.

Maschere e costumi nel teatro greco antico

Tutte le notizie che si hanno sull'origine del teatro greco vengono tratte dai resti archeologici, dalla pittura vascolare e dalle fonti scritte dagli scrittori del tempo. Gli attori della commedia si presentavano con tunica corta e calzari bassi. Gli abiti convenzionali degli attori Greci erano una tunica lunga dal collo fino alle caviglie, con le maniche lunghe fino alle mani, ornata da vivacissimi disegni colorati e figure simboliche, i colori dovevano servire a esprimere lo stato d'animo di un personaggio. Oltre la tunica gli attori indossavano un mantello. Naturalmente il re portava una corona, i vecchi si appoggiavano a un bastone e così via altri accessori per caratterizzare i personaggi. Le calzature, di nome coturni, avevano un'alta suola di legno, spesso dipinta con colori simbolici, esse servivano a elevare l'attore per renderlo più visibile agli spettatori più lontani. Contribuivano a ergere l'attore anche gli onkos, delle parrucche molto alte. Riguardo le maschere abbiamo notizie da Polluce (sofista e grammatico greco del II sec. d.C.). Da lui si evince che le maschere usate dagli attori Greci fossero molte, fatte di stoffa gessata, corredate da parrucche, esse avevano la capacità di amplificare la voce come fossero dei microfoni. Naturalmente la maschera serviva a caratterizzare il personaggio, quindi era fatta in modo tale da indicare l'età, il ceto di appartenenza, lo stato d'animo e il carattere di un personaggio.

Make Up nei film Horror

Un punto fondamentale del genere horror è costituito dalla possibilità di ricreare visivamente elementi terrificanti, capaci di portare gli spettatori a rabbrividire o urlare di paura! Per soddisfare tali necessità entrano in campo i cosiddetti effetti speciali, o semplicemente effetti, nonchè il trucco e l’abbigliamento dei protagonisti. Vivacinema vi propone un approfondimento sulla storia e le varie soluzioni adottate nel campo degli effetti visivi e del make-up nel secolare genere cinematografico dell’horror. I primi esempi di cinema dell’orrore risalgono addirittura ai primi anni di vita del cinema, alla fine del 1800. Uno dei più creativi pionieri della settima arte, Georges Méliès, inserì infatti nelle sue pellicole i primi trucchi spettacolari costituiti da sparizioni di personaggi, sdoppiamenti e trucco deformante. In questa fase del cinema i trucchi erano rigorosamente artigianali, realizzati attraverso travestimenti, make-up pesante e soprattutto attraverso il montaggio. La sparizione di un personaggio avveniva, ad esempio, montando in rapida successione un’inquadratura del protagonista con un’inquadratura vuota, dando così l’impressione del dileguarsi improvviso della figura. Attraverso gli anni ‘10 e ‘20 del 1900, il genere horror diviene sempre più caratteristico, in particolare grazie ai registi tedeschi appartenenti alla corrente dell’Espressionismo. Questo movimento era, infatti, caratterizzato da ambientazioni cupe e lugubri, storie raccapriccianti e personaggi spesso appartenenti al mondo del sovrannaturale. Pietre miliari dell’intera storia del cinema sono, ad esempio, Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene e Nosferatu il Vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau. Quest’ultimo rappresenta la prima apparizione sul grande schermo del celeberrimo Dracula ed è ricco di innovazioni tecniche nel campo degli effetti. Oltre all’inquietante make-up del protagonista armato di affilati canini, sono da segnalare l’uso delle coloriture per rendere maggiormente le atmosfere nonostante il bianco e nero della pellicola. Bastava, ad esempio, un viraggio in blu o un negativo di una scena per collocarla temporalmente ed emotivamente nella sfera notturna e dell’ingnoto. Gli anni ‘30 e ‘40 segnano il boom del cinema horror anche negli Stati Uniti, che portarono ad un colossale successo figure mostruose rimaste immortali nell’immaginario collettivo quali Dracula, Frankenstein, La Mummia e L’uomo invisibile. Memori delle precedenti esperienze tedesche, i film horror hollywoodiani mantennero la linea dell’artigianalità degli effetti, puntando gran parte della loro efficacia sull’uso dei costumi, del trucco e delle scenografie. Non mancarono però le innovazione tecniche nel campo della spettacolarità. Nel primo King Kong del 1933, ad esempio, fu impiegato lo stop-motion, che permette di creare movimento attraverso la rapida successione di fotogrammi contenenti un oggetto inanimato in diverse pose consecutive. Acquistarono largo consenso anche le miniature, ovvero i modellini di grandi strutture ridotte in scala per facilitarne la ripresa. I grandi passi tecnologici dell’industria degli anni ‘50 e ‘60, tra i tanti anche l’introduzione dei film a colori, porta il baricentro del cinema horror verso nuove frontiere, tendenti alla fantascienza. Nascono in questi anni i personaggi extraterrestri ed alieni, le lotte tra umani e robot, nonchè nuovi effetti che da questo momento in poi possono veramente essere definiti speciali. L’innovativo uso del 3-D rivoluziona il modo di vedere i film, portando il pubblico verso terrori e paure sempre più realistiche e, quindi, vicine alla realtà di ognuno. Inoltrandosi negli anni ‘60 e ‘70 l’horror subisce alcune svolte stilistiche e tematiche rilevanti. Il periodo preso in questione va analizzato anche sotto un profilo politico-sociale, considerando le conseguenze della guerra del Vietnam e delle contestazioni giovanili. Questi segni di decadimento delle istituzioni e della società moderna si rifletterono enormemente nei film dell’epoca di qualsiasi tipo. Il prima piuttosto omogeneo genere horror tende ora a scindersi per lo più in due grandi gruppi. Da una parte prende piede l’horror psicologico, meno violento ma più cerebrale, e dall’altra permane il gusto del ribrezzo con l’inizio della serie dedicata agli zombie e ai serial killer. Parlando della prima categoria possiamo citare grandi opere del periodo come Psyco, infinito serbatoio di geniali trovate stilistiche di Alfred Hitchcock e trent’anni dopo il famoso Il silenzio degli innocenti. In questi come in altri esempi il trucco o gli effetti speciali sono in qualche modo secondari, lasciando spazio ad una più profonda introspezione interiore e psicologica. Restano fondamentali, invece, gli effetti ed il trucco nell’altro grande filone horror dell’epoca. Senza un competente ed artistico make-up cosa sarebbe stato degli zombie di Romero in La notte dei morti viventi? Senza gli effetti speciali di levitazione e il giro a 360 gradi della testa di Regan cosa sarebbe stato L’Esorcista? La fine degli anni ‘70 ed in particolare gli ‘80 sono costellati di grandi opere horror che in gran parte hanno dato vita a successive saghe e sequel nel corso dei decenni. Tra i più celebri segnaliamo Non aprite quella porta di Tobe Hooper, Zombie di Romero, Halloween di John Carpenter, Alien, Venerdì 13, Nightmare di Wes Craven e Hellraiser di Clive Barker. Un’ondata di sangue e violenza estrema invade il cinema, popolato da superuomini invincibili, creature aliene, assassini che si nascondono nei sogni e pazzi maniaci. Gli effetti usati in questi film non vanno certo per il sottile, non risparmiando, infatti, oceaniche quantità di sangue (il caro succo di pomodoro) e mutilazioni di ogni tipo. Permane comunque una certa tendenza artigianale in queste produzioni, che strizzano l’occhio ai vecchi metodi della classicità, fatta di manichini di gomma, plastica e stoffa, sangue finto e mostri posticci. Contemporaneamente alle produzioni hollywoodiane ormai vicine alle nuove tecniche della computer grafica, l’Europa alza il proprio vessillo orrorifico con grandi registi del settore, tra cui anche illustrissimi nomi italiani. Detentori della più altra tradizione dell’horror italiano sono Pupi Avati autore di La casa dalle finestre che ridono, il Maestro Mario Bava, con opere come La maschera del demonio, Gli orrori del castello di Norimberga e Shock, e il suo seguace Dario Argento, ancora oggi attivo e rinomato per film come Profondo Rosso, Suspiria e Inferno. La tradizione italiana rispetta fortemente il concetto classico di effetto, mantendo la materialità del make-up e dei trucchi, restituendo all’horror quella componente finzionale che secondo molti costituisce la vera anima del cinema. Mentre l’Italia e l’Europa in generale tenevano questa linea, Hollywood scopriva le potenzialità del computer e le sue infinite funzioni. I giganteschi dinosauri di Jurassic Park, ad esempio, sono figli del digitale, come le grandi folle di comparse e le scene violente sempre più realistiche e dettagliate. Si apre così l’era del digitale, tuttora senza confini, animando i mostri e gli assassini degli anni ‘90 fino ad oggi.

Storia del FX

Gli effetti speciali sono una delle caratteristiche peculiari del cinema fin dai tempi degli esperimenti compiuti dal regista francese Georges Méliès, inventore dei primi rudimentali effetti visivi, spesso ottenuti con semplici tecniche di montaggio. Egli riuscì, ad esempio, a simulare la sparizione di una persona giuntando due inquadrature di uno stesso ambiente: la prima mostrava la persona, mentre la seconda solo l'ambiente vuoto. Altri suoi esperimenti riguardarono la sovrapposizione di due o più pellicole, per simulare ad esempio lo sdoppiamento di una persona. Questi rudimentali effetti erano una delle attrattive dei primi cinematografi (come ad esempio i nickelodeon americani), spesso ubicati presso i luna park, e furono quindi determinanti per la diffusione del cinema nei primi decenni del novecento. Gli effetti sono andati via via raffinandosi di pari passo con l'introduzione di nuove tecniche di ripresa, come ad esempio lo "stop-motion" (o "passo uno"), che diede vita al King Kong del 1933 e ai famosi scheletri guerrieri di Ray Harryhausen. Altre tecniche vedevano l'uso di "miniature", ossia riproduzioni in scala ridotta di un ambiente o di un oggetto di grandi dimensioni. Leggendarie sono ad esempio le dettagliatissime miniature usate nel 1968 in 2001: Odissea nello spazio. Negli anni settanta, si iniziò ad utilizzare i cosiddetti "animatroni" (animatronic): complessi sistemi meccanici ed elettronici comandati a distanza ed in grado di compiere dei semplici movimenti. Erano rivestiti di vari materiali (stoffa, lattice, vetroresina, etc.) e quindi truccati da maestri quali, ad esempio, l'italiano Carlo Rambaldi e l'americano Rick Baker. Furono utilizzati per gli effetti speciali di King Kong (1976), Alien (1979), E.T. (1982), e divennero sempre più sofisticati, integrando le tecniche della robotica, fino ad essere utilizzati in film come RoboCop e Terminator. Alla fine degli anni ottanta l'avvento della grafica computerizzata rivoluzionò il mondo degli effetti speciali: nel 1993, con il film Jurassic Park di Steven Spielberg, l'Industrial Light & Magic di George Lucas stupì il mondo, mostrando dei realistici dinosauri alle prese con gli attori in carne ed ossa. Già un anno prima il pubblico aveva potuto assistere alle meraviglie dell'animazione digitale nella pellicola Terminator 2, dove un procedimento detto "morphing" consentiva ad un oggetto animato di "sciogliersi" e di assumere le sembianze di un altro oggetto. Grazie al computer e ad altre tecniche avanzate, come il blue screen, si dimezzano i costi di produzione, liberando di conseguenza la fantasia di sceneggiatori e registi. Si possono infatti realizzare enormi scenografie virtuali, epiche battaglie con migliaia di comparse digitali animate da appositi software (per animare le schiere del Signore degli Anelli è stato sviluppato un programma chiamato "massive" in grado di fornire una rudimentale quanto efficace intelligenza artificiale ad ogni singola figura), mostri di tutte le dimensioni sempre più realistici, duelli acrobatici sempre più spettacolari (come nel film Matrix, che introdusse il cosiddetto bullet time, in cui la macchina da presa si muove più velocemente e il tempo dell'azione appare rallentato), nonché suggestive scene d'azione che coinvolgono attori reali e creature digitali (esemplare il recente remake di King Kong di Peter Jackson). Tutto questo ha condotto alla fine dell'epoca dei kolossal in cui erano impiegate migliaia di comparse, anche se bisogna ammettere che molti degli effetti, ancora oggi, dipendono dall'estro di coreografi, controfigure, truccatori, disegnatori, ecc. Non è un caso che alla realizzazione della trilogia de Il signore degli anelli abbiano lavorato circa mille persone.